Il 28 Giugno è la giornata dell’incontinenza urinaria, una patologia che – come rivelato al Secondo Masterclass di Uroginecologia di Matera del 2017 – potrebbe arrivare a colpire in Italia circa 10 milioni di persone. Statisticamente il 75% dei soggetti affetti sono donne, il restante 25% uomini. Questo per diversi motivi, come ad esempio la maggiore incidenza di eventi traumatici (gravidanza e parto), di interventi uroginecologici che modificano la pelvi, di cambiamenti ormonali che trasformano l’apparato urogenitale (allattamento, menopausa, fase premestruale) o di condizioni anatomiche (uretra più corta) o abitudinali che possono mettere a rischio l’integrità fisica e funzionale del complesso pelvico.
Quanti tipi di incontinenza esistono? Non tutti sanno che possiamo distinguere diversi tipi di incontinenza urinaria. La forma più comune è l’incontinenza da sforzo: perdite di urina associate a un aumento di pressione intra-addominale, come il salto, il colpo di tosse, lo starnuto, la risata, attività fisica intensa, sollevamento di pesi etc. Una forma diversa è quella da urgenza: significa che le donne perdono pipì nel tentativo di raggiungere il bagno, sopraffatte da uno stimolo minzionale fastidioso e non procrastinabile. Questa forma è spesso conseguenza di una vescica iperattiva (Over Active Bladder), per cui le minzioni giornaliere (o notturne) sono numerose, a brevi intervalli e urgenti. Quando queste due forme coesistono si parla di incontinenza mista. Esistono poi forme di incontinenza continua, con perdite frequenti anche senza stimolo vescicali; o la forma da overflow, per cui le perdite urinarie sono causate dall’impossibilità di vuotare completamente la vescica (una condizione determinata da difetti funzionali o meccanici).
Come si diagnostica l’incontinenza urinaria? Lo strumento più importante per valutare l’incontinenza è sicuramente l’anamnesi. Capire ciò che degli stili vita e dei precedenti chirurgici, ostetrici e delle condizioni generali della donna possono aver causato o peggiorato questa condizione. Una valutazione completa del piano perineale, in associazione a un diario minzionale, sanno dare informazioni preziose per inquadrare il problema, prima ancora di procedere con esami più invasivi di urodinamica che potrebbero essere rimandati a un momento successivo – solo se la terapia riabilitativa fallisce – o consigliati in caso le metodiche meno invasive non siano state sufficienti a chiarire la situazione.
Come si tratta l’incontinenza urinaria? L’International Continence Society riscontra nella riabilitazione pelvica il primo approccio non invasivo per curarla. La sua efficacia è dell’80-90%, è un metodo non invasivo, ripetibile, che non prevede farmaci e non ha effetti avversi. Le tecniche adoperate sono diverse a secondo dei bisogni della paziente, tenendo conto che le forme di incontinenza sono diverse e che possono richiedere interventi a livello vescicale, nervoso, muscolare, posturale e comportamentale. Le tecniche vanno sempre selezionate in base alla patologia, non sono uguali per tutte le donne, ma generalmente le possiamo dividere in metodiche di educazione e rieducazione delle pazienti, che modificano abitudini, stili di vita e condizioni a rischio di instaurare o peggiorare l’incontinenza urinaria; tecniche fisiokinestierapiche, che prevedono esercizi differenti di ginnastica attiva – a volte comprensive di manipolazioni – per ristabilire un corretto tono muscolare a livello pelvico e addominale, così da favorire un corretto reclutamento della muscolatura ai fini della continenza anche in condizioni di stress e sforzo. Le tecniche più innovative e che prevedono maggiori variabili sono quelle strumentali: Biofeedback, TENS, SEF e PTNS, che possono e devono essere selezionate in base alla valutazione della paziente e che possono essere eseguite secondo specifici protocolli, ma mai senza l’ausilio delle prime tecniche descritte. E' molto importante sapere che se non si lavora sulle cause dell'incontinenza urinaria ma solo sulla muscolatura pelvica la problematica tenderà a migliorare ma non a gurarire, o a ripresentarsi dopo un arco di tempo.
Quanto tempo è necessario per completare la terapia? Questo è estremamente variabile. Anche la cadenza delle sedute può oscillare tra 1 o 2 a settimana. Generalmente i percorsi riabilitativi sono organizzati in 8-12 sedute; a volte – se si utilizzano determinate tecniche – possono essere necessarie delle sedute di mantenimento. Per la complessità dei percorsi la durata di ciascun incontro è di 1 ora circa.
Quali obiettivi ha la riabilitazione pelvica relativa all’incontinenza urinaria? Sicuramente la guarigione totale della donna. E’ vero anche che alcune pazienti accedono al servizio agli inizi della problematiche, quando le perdite sono episodi isolati e sporadici. In questo caso l’obiettivo principale è che si metta in sicurezza la donna di modo da poter eradicare immediatamente il problema. Quando invece la situazione è più complessa e le perdite urinarie sono abbondanti e quotidiane l’obiettivo è in primis quello di migliorare la qualità di vita delle donne, garantendo loro dignità e autonomia e la possibilità di poter svolgere una vita normale. Non di rado anche in questi casi l’esito riabilitativo è quello della totale guarigione, monitorata attraverso la registrazione di minzioni e perdite durante l’arco del percorso riabilitativo per avere un continuo riscontro di quanto la terapia sia efficace.
Dr.ssa Jessica Li Gobbi Ostetrica Specialista Riabilitazione Pelvica Terni – Viterbo – Spoleto 3930924006 / jessicaligo91@live.com
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